PlateaLmente  di  Francesca Romana Lino

Mejerchol’d -e la sua biomeccanica-, il teatro fisico di Grotowski, la pratica d’uso dei centri -la cosiddetta ‘quarta via’…- di Gurdjieff: questi gli autorevoli antesignani de “Le scimmie nude”; e poi ancora le teorie del filosofo William James e -forse ancor di piĂą- la poetica di Antonin Artaud: e la sua “Crudeltà”, intesa come ‘rigore’ e ‘sacrificio’ all’espressione teatrale a tutto tondo -non importa quale che ne sia la modalitĂ  espressiva, come il Living Theatre avrebbe poi continuato a sostenere…-; e pure Pina Baush -è stato detto- e il Physical Theatre. Tutto questo -come si accennava- coagula e si sustanzia nella fisicitĂ  di queste “Macchine”, portate in scena -ancora per un paio di sere soltanto, all’Out Off- dal collaudato trio Claudia Franceschetti, Andrea Magnelli e Marco Olivieri.

NĂ© bisogna lasciarsi intimorire dalla sfilata di questi mostri sacri, perchĂ© quel che ci accoglie, in scena -e ci accompagna per oltre un’ora-, è la rarefatta presenza di tre figure dall’apparenza evanescente: con in dosso vesti candide e svolazzanti -che sembrerebbero pronte a spiccare leggiadri balzi edenici-, sospese fra un prato verdeggiante -che s’innalza appena in una morbida collina…- ed un tenda indaco, a completar lo sfondo a mo’ di cielo/orizzonte -e dove il solo arredo scenico presente, una sorta di cassa/panca, è in plexiglass trasparente: quasi a non voler disturbare l’idilliaca ambientazione con la consistenza della sua presenza…-.

GiĂ , ma in questo giardino fuori dal tempo -sembra quasi di sentir un gioioso cinguettio di uccelli ed il viso accarezzato da una dolce tiepida brezza; ed il naso solleticato dall’olezzo di fiori paradisiaci…-, le tre candide figure si muovo con gesti marcati e, a tutta prima, difficilmente decifrabili: con una ripetitivitĂ  -dinamica e compulsiva, quasi…-, che immediatamente basiscono; poi -a poco a poco- tutto acquista forma: e senso… E così si comprende: che se vero è che l’uomo è la sommatoria dei suoi gesti che si ripetono -ciascuno, infatti, ha i propri automatismi: fobici, narcisistici o quali che siano, che lo rendono, per questo verso, ‘macchina’-, per altro verso è anche un ‘animale’ -non a caso le prime parole pronunciate sono, in evidente contrasto col candore celestiale dell’elemento visivo, di allusione all’odore, che il corpo umano emana e a tutte quelle ‘poco nobili’ dimensioni biologiche e poi di vulnerabilitĂ  psicologico esistenziale, che ci differenziano dagli angeli per assimilarci, invece, alla prosaicitĂ  degli esseri terreni-: e la combinazione di questi due elementi conduce -dritto dritto- al rispolvero del nostro essere ‘zòon -‘animale’, appunto- politicòn’: chĂ© risulta subito evidente che il nostro ‘essere IL nostro corpo’ nel senso di ‘essere NEL nostro corpo’ -pleonastico scomodare le reminiscenze platoniche del ‘corpo tomba dell’anima’ o della ‘biga alata’ e della ‘metempsicosi’, che porterebbe l’anima a precipitare in un corpo-carcere- ha, come ulteriore conseguenza, la ricerca obbligata di un rapporto di relazionalitĂ  -sessuale, principalmente: che, a sua volta, costituisce un ulteriore elemento di ‘schiavitĂą’: ‘pauraedesiderio’, per citare un altro lavoro di questa stessa compagnia, vincitore del Premio del Pubblico al Fit Festival del Canada di quest’anno…-: e tutto questo ci parla del ‘pricipio individuationis’, per dirla filosoficamente -o, come vociano, i tre personaggi, scoppiando nei loro scomposti: “Qui… Ora… Perché”-.

Questo, in fondo, il corposo nucleo concettuale, ma che ci vien, poi, felicemente declinato in una serie di quadri narrativi, capaci non solo di stupire per l’impeccabile capacitĂ  di controllo e modulazione fisica degli attori/performer -eccellente Andrea Magnelli, le cui plasticitĂ  mimica ed intensitĂ  espressive sono quelle di chi davvero abbia il cosiddetto ‘physique du role’; ma non di meno i suoi compagni: di Claudia Franceschetti, ad esempio, come non citare la scena in cui, diventata ‘fantoccio’ dei due contendenti, si lascia posizionare e modulare fin la mimica facciale con una malleabilitĂ  davvero da bambola di gomma?-, ma anche per la godibilitĂ  di sequenze capaci di far sorridere -e ridere- mescolando elementi di realtĂ  -la scena dei due vecchietti, una per tutte o quella dell’esilarante preghiera: “Ave Maria, tu ch’ si’ santa, tu ch’ si fìmmina, dammi ‘na fìmmina pe’ cumpagnìa”- all’altrimenti astrusa materia di questa ‘non pièce/studio teatrale’: ed il pericolo è brillantemente scongiurato da Gaddo Bagnoli, qui anche regista.

Per gli amanti di un teatro fisico, performativo, ma anche teor(et)icamente strutturato e di certo impegnato a livello sperimentale, Le Scimmie Nude sono una compagnia -ormai decennale- da tener d’occhio.

2 novembre 2013e poi continuato a sostenere…-; e pure Pina Baush -è stato detto- e il Physical Theatre. Tutto questo -come si accennava- coagula e si sustanzia nella fisicitĂ  di queste “Macchine”, portate in scena -ancora per un paio di sere soltanto, all’Out Off- dal collaudato trio Claudia Franceschetti, Andrea Magnelli e Marco Olivierii.
NĂ© bisogna lasciarsi intimorire dalla sfilata di questi mostri sacri, perchĂ© quel che ci accoglie, in scena -e ci accompagna per oltre un’ora-, è la rarefatta presenza di tre figure dall’apparenza evanescente: con in dosso vesti candide e svolazzanti -che sembrerebbero pronte a spiccare leggiadri balzi edenici-, sospese fra un prato verdeggiante -che s’innalza appena in una morbida collina…- ed un tenda indaco, a completar lo sfondo a mo’ di cielo/orizzonte -e dove il solo arredo scenico presente, una sorta di cassa/panca, è in plexiglass trasparente: quasi a non voler disturbare l’idilliaca ambientazione con la consistenza della sua presenza…-. GiĂ , ma in questo giardino fuori dal tempo -sembra quasi di sentir un gioioso cinguettio di uccelli ed il viso accarezzato da una dolce tiepida brezza; ed il naso solleticato dall’olezzo di fiori paradisiaci…-, le tre candide figure si muovo con gesti marcati e, a tutta prima, difficilmente decifrabili: con una ripetitivitĂ  -dinamica e compulsiva, quasi…-, che immediatamente basiscono; poi -a poco a poco- tutto acquista forma: e senso… E così si comprende: che se vero è che l’uomo è la sommatoria dei suoi gesti che si ripetono -ciascuno, infatti, ha i propri automatismi: fobici, narcisistici o quali che siano, che lo rendono, per questo verso, ‘macchina’-, per altro verso è anche un ‘animale’ -non a caso le prime parole pronunciate sono, in evidente contrasto col candore celestiale dell’elemento visivo, di allusione all’odore, che il corpo umano emana e a tutte quelle ‘poco nobili’ dimensioni biologiche e poi di vulnerabilitĂ  psicologico esistenziale, che ci differenziano dagli angeli per assimilarci, invece, alla prosaicitĂ  degli esseri terreni-: e la combinazione di questi due elementi conduce -dritto dritto- al rispolvero del nostro essere ‘zòon -‘animale’, appunto- politicòn’: chĂ© risulta subito evidente che il nostro ‘essere IL nostro corpo’ nel senso di ‘essere NEL nostro corpo’ -pleonastico scomodare le reminiscenze platoniche del ‘corpo tomba dell’anima’ o della ‘biga alata’ e della ‘metempsicosi’, che porterebbe l’anima a precipitare in un corpo-carcere- ha, come ulteriore conseguenza, la ricerca obbligata di un rapporto di relazionalitĂ  -sessuale, principalmente: che, a sua volta, costituisce un ulteriore elemento di ‘schiavitĂą’: ‘pauraedesiderio’, per citare un altro lavoro di questa stessa compagnia, vincitore del Premio del Pubblico al Fit Festival del Canada di quest’anno…-: e tutto questo ci parla del ‘pricipio individuationis’, per dirla filosoficamente -o, come vociano, i tre personaggi, scoppiando nei loro scomposti: “Qui… Ora… Perché”-.
Questo, in fondo, il corposo nucleo concettuale, ma che ci vien, poi, felicemente declinato in una serie di quadri narrativi, capaci non solo di stupire per l’impeccabile capacitĂ  di controllo e modulazione fisica degli attori/performer -eccellente Andrea Magnelli, le cui plasticitĂ  mimica ed intensitĂ  espressive sono quelle di chi davvero abbia il cosiddetto ‘physique du role’; ma non di meno i suoi compagni: di Claudia Franceschetti, ad esempio, come non citare la scena in cui, diventata ‘fantoccio’ dei due contendenti, si lascia posizionare e modulare fin la mimica facciale con una malleabilitĂ  davvero da bambola di gomma?-, ma anche per la godibilitĂ  di sequenze capaci di far sorridere -e ridere- mescolando elementi di realtĂ  -la scena dei due vecchietti, una per tutte o quella dell’esilarante preghiera: “Ave Maria, tu ch’ si’ santa, tu ch’ si fìmmina, dammi ‘na fìmmina pe’ cumpagnìa”- all’altrimenti astrusa materia di questa ‘non pièce/studio teatrale’: ed il pericolo è brillantemente scongiurato da Gaddo Bagnolii, qui anche regista.
Per gli amanti di un teatro fisico, performativo, ma anche teor(et)icamente strutturato e di certo impegnato a livello sperimentale, Le Scimmie Nude sono una compagnia -ormai decennale- da tener d’occhio.