CENTRO DI RICERCA APOLLONIO: dal sito dell’Università Cattolica di MIlano
Con Perversioni Bagnoli, regista ed autore, e la sua compagnia, le Scimmie Nude, portano a conclusione la “Trilogia di indagine sull’uomo”, avviata con Pauraedesiderio nel 2008.
Lo spettacolo prende forma all’interno di una struttura narrativa particolare, che non svolge una fabula lineare, ma neppure si riconosce nelle frammentazioni tipiche postmoderne. L’azione è determinata da una complessa rete di azioni e reazioni che cattura agilmente lo spettatore, intrappolato così in un susseguirsi serrato di immagini visionarie che non lasciano respiro e lo costringono alla massima attenzione.
L’assenza di uno sviluppo narrativo classico si accompagna ad un senso di atemporalità inquietante. Il dramma è astratto dalla contingenza della storia, anche se connotato di riferimenti al barocco, e sospeso in uno spazio di “eterno ritorno”. La scena, delimitata sullo sfondo da tendoni di velluto rosso e sul proscenio da luci da avanspettacolo, è un non-luogo. È al tempo stesso casa, cuore umano, recondito della psiche, boudoir di giochi sadomaso, terra di nessuno in cui “ogni persona contiene al suo interno un’altra persona”, teatrino di ruoli prestabiliti in cui gli uomini sono solo personaggi, giocano la vita anziché viverla.
All’interno di questo spazio si muovono un padre autoritario, padrone e servo delle vittime che immola, una madre che non riesce ad amare i propri figli, uno zio attanagliato dal demone della pedofilia, un figlio che mangia «la cacca del mondo», una figlia che vuole scappare, diventare un volto, entrare nelle case, per esistere davvero. Attraverso un’intuizione interessante si mostra come ciò che è perverso abbia origine proprio da quanto ci è più familiare e rassicurante: lo spazio di gioco di due fratelli, quel «mondo immenso dietro casa nostra», diventa luogo dove sperimentare la violenza e la paura, il pranzo di famiglia si fa focolaio di umiliazioni, la nipote per lo zio pedofilo ha l’odore rassicurante e familiare “di minestra e di calzette”. È dal pervertimento delle relazioni più intime che nasce la paura di relazionarsi davvero con l’altro.
Gli attori si rincorrono attorno al tappeto rosso al centro della stanza, percuotendosi ed umiliandosi l’un l’altro, in un eterno girotondo che non sembra trovare fine né principio. Un perenne girare attorno alla verità, cercando di sfuggire all’assenza di affetto, pretendendo qualcosa dagli altri senza riuscire però ad offrire nulla in cambio, neppure un abbraccio. «Nessuno ha nessuno»: dice la madre educando sua figlia, spiegandole come il passato determini il presente, come non ci sia scampo dall’oppressione sociale e familiare, come l’odio e la violenza dei padri ricada sui figli.
Le perversioni diventano una chiave per indagare l’animo umano. Si cerca di entrare nella perversione per conoscere maggiormente l’essere umano, si indaga la psiche, si scava nella mente di chi mangia le proprie feci e di chi violenta i bambini, cercando di scoprire il come, il perché. Si va alla ricerca degli infiniti demoni che abitano la psiche umana, delle forze irrazionali e caotiche con lo sguardo limpido del ricercatore e dell’artista.
All’interno di un tale contesto il concetto stesso di teatro viene ‘perverso’, diventando metafora della perversione come realtà illusoria, ritualità sterile, in cui l’individuo perde la sua identità e la sua esistenza, diventando indifferente, distante, incapace di amare, di creare legami. La perversione è usata come soglia per tornare al caos, un caos di cui l’uomo ha ancora bisogno, per ristabilire continuamente un ordine, per edificare ruoli e gerarchie, e che pure nella sua vanità lo condanna ad un’inesausta riproduzione dei medesimi schemi.
L’intero dramma familiare, a partire dalle situazioni più marcatamente sessuali, è riscritto e trasfigurato attraverso il particolare linguaggio antinaturalistico che Bagnoli e la sua compagnia hanno sviluppato durante la trilogia ed all’interno della loro scuola di recitazione. Si tratta di un esperienza recitativa estremamente fisica: materia fondamentale della rappresentazione sono i corpi degli attori, completamente votati all’evocazione, alla ricostruzione fisica del sogno-incubo che è lo spettacolo. Sono corpi tirati, strozzati, spinti, eppure sempre magistralmente controllati, calibrati nei movimenti dall’eccezionale capacità degli attori, che riescono ad aprirsi in una gestualità espressionistica di forte impatto emotivo ed al contempo curare espressioni facciali cesellate nel dettaglio, che la dimensione raccolta del Teatro della Contraddizione aiuta a cogliere ed apprezzare. Attraverso un tale uso del proprio corpo, astratto, estremo, non naturalistico, l’attore può permettersi di mostrare ciò che quotidianamente viene nascosto: moti profondi, reazioni istintive, emozioni non filtrate; tutto questo si concretizza nei corpi e nelle voci che non sono impiegati nella costruzione di personaggi psicologicamente definiti, ma piuttosto di tipi universali. In coerenza con questa estetica la scrittura delle musiche e dei testi procede in contemporanea con l’invenzione prossemica e la presenza di oggetti di scena è ridotta il più possibile all’essenziale. In Perversioni sono soprattutto due: un tavolo metamorfico, che attraverso lo spettacolo diventa pedana, specchio, letto e tavola da pranzo, ed una serie di nastri rossi, che a loro volta assumono funzioni sceniche differenti nonché molteplici significati simbolici. Gli oggetti vengono così sfruttati il più possibile, affidandosi però soprattutto all’abilità dell’attore per la capacità di ricreare un particolare ambiente.
La poetica della compagnia guarda alla “crudeltà” di Artaud, il teatro diventa luogo della scoperta di sé, spazio in cui non si rappresenta, ma si vive una realtà più vera della realtà stessa. Teatro come luogo della coscienza, come spazio in cui ricreare la vita, in cui scoprire la verità sull’uomo e vivere un’esperienza che va al di là dello spazio ludico e ricreativo, ma che diventa esperienza gnoseologica, di ricerca e di sperimentazione della verità.
Il regista mette in scena una rappresentazione vivida benché astratta, che mantiene tesa l’attenzione dello spettatore, anche quando si concede alla risata, che sempre svolge il fine di divertere, secondo il senso etimologico di ‘volgere oltre’, verso un significato altro. Ed è proprio la distanza dalla realtà naturalistica ad aprire una libertà interpretativa per lo spettatore, che trova qui la possibilità di riconoscere in sé stesso le paure , i desideri, la sofferenza, il mancato contatto con l’altro e la non comunione con la vita, che costituiscono quel nucleo di perversione che – sembra chiederci Bagnoli – forse abita ognuno di noi.
Valentina Manzalini
Natalia Sangiorgio
Marco Gangarossa